sabato 28 aprile 2012

Mosca (versione breve) - 3

Era rientrato in ufficio da pochi minuti quando vide passare nel corridoio il brigadiere che aveva scattate le foto a casa della donna.

Lo chiamò, e gli chiese se avesse notato qualcosa di particolare.
“No, direi niente di particolare. Niente sangue, nessun segno di colluttazione, un ordine quasi perfetto e nessun segno di effrazione. A parte il giallo nelle mani della donna – del quale non ricordo mai l’assassino - niente fa pensare a una morte sospetta”.

"A parte il fatto che la morta sia tornata in vita", aggiunse abbassando la voce e guardandosi la punta delle scarpe.

L’accenno al giallo fece scattare nel Comandante una strana associazione: era davvero singolare che una persona morisse di morte apparente, e senza una causa evidente, proprio mentre leggeva un giallo tranquillamente sdraiata sul divano di casa propria, però certo non capitava tutti i giorni un caso del genere.

Avrebbe comunque atteso notizie più precise dall’ospedale, dove le avevano comunque fatto dei prelievi e qualche indagine radiologica per provare a capirci qualcosa.

Per ora, tutto lasciava pensare che si fosse trattato di un qualche accidente naturale, per quanto inspiegabile.

Certo, il fatto che la donna tenesse ancora in mano il cordless poteva indicare che magari, colta da malore, avesse tentato di chiamare qualcuno.

Si chiese, per una curiosità inutile ma insistente, a quale passaggio del libro la signora si fosse sentita male: chissà se la tensione causata da un passaggio pieno di suspense particolarmente ben riuscito, poteva alterare il ritmo cardiaco fino a provocare un infarto, e quindi la morte, in chi legge.

“Di che giallo si trattava brigadiere?”, chiese.

“ Uno dei classici di Agatha Christie” rispose il brigadiere, “Il ritratto di Elsa Greer. Uno dei più ingarbugliati che abbia mai letto. La Christie, in questo giallo, crea un tale affollamento di personaggi che si aggirano sulla scena del delitto, che a un certo punto non ci si capisce più niente.
Tutti sembrano innocenti e tutti potrebbero essere
colpevoli, come pare ovvio in un giallo. Solo che lei li fa girare in tondo, li muove sulla scena, prima e dopo il delitto, come si trattasse di una serie di comparse che servono a riempire spazi vuoti e a far confusione sul palcoscenico. Entrano, escono, dicono qualcosa senza che mai ciò che dicono ti indirizzi verso un sospetto credibile fino in fondo e rendendo invece tutti ugualmente sospetti. Non contenta, introduce poi sempre nuove figure a scombinare eventuali ipotesi del lettore, creando sempre nuovi possibili moventi di cui fino alla pagina prima non si aveva sospetto. Insomma, un gran bel giallo”, concluse il brigadiere, preso nella foga della rievocazione di un libro che pareva aver apprezzato.

“ E l’assassino? Alla fine chi è stato?” chiese il Comandante con un misto fra la curiosità e lo sfottò per l’improvvisa scoperta di un’altra passione nascosta del collega.

“Eh sì, alla fine si sa chi è stato, questo è ovvio. Solo che ogni volta che mi capita di rileggerlo non riesco mai a ricordarlo fin da subito, anche se dovrei ormai saperlo, chi è l’assassino. E’ questo che mi fa impazzire: uno legge un libro la prima volta, e alla fine sa chi è stato. Fine del giallo. Quando lo rilegge, magari apprezza nuovamente la trama ma non dovrebbe avere sorprese sul finale, le pare? Invece no! Mai una volta che mi riesca di ricordare fin da subito chi è stato a far fuori Amyas Crale. Niente, ogni volta tutti i personaggi ricominciano a ingarbugliarsi fra loro e ogni volta devo arrivare alla fine prima di poter dire: “Ah sì, ecco chi è stato”. Un bel giallo”.

Questi sorrise per la foga ma decise di prendere comunque nota del titolo per leggerlo, appena avesse avuto un po’ di tempo.

Oltre che di gialli, il brigadiere era però un vero fanatico della fotografia: amava i dettagli minuti quasi più di qualsiasi scena spettacolare, per questo si fidava del suo spirito di osservazione.

“Trovato qualche particolare degno di interesse per la sua passione?” gli chiese per stuzzicarlo un po’.

“Forse sì, ma non credo che l’ingrandimento di una mosca diventerà la foto dell’anno”, rispose il brigadiere.

“Una mosca? In quella casa da ricconi pulita e fresca? E dove l’ha vista?”.

“Gliel’avevo fatta notare, non ricorda? Stava sul tappeto, vicina alla mano che teneva il giallo che la signora stava leggendo al momento del decesso”.

Mentre parlava, iniziò a trafficare con la piccola custodia della Nikkon che portava agganciata alla cintura.
Aperta la zip, estrasse con grande cautela, quasi si trattasse di un lembo della Sacra Sindone, un kleenex che vi stava ripiegato dentro.

“Che sta facendo? Non l’avrà mica raccolta per iniziare una collezione di cadaveri di mosche, brigadiere…”.

Questi si chinò verso la scrivania appoggiando il kleenex in un angolo del tavolo stranamente sgombro da scartoffie. 
Il Comandante osservava le manovre del collega come si guarda un bambino che sta per farti vedere l’ultimo stupefacente mini robot giapponese trovato nel sacchetto di patatine.

Il brigadiere, tutto concentrato, aprì lentamente il fazzoletto, seguendo con calma le pieghe della carta.

All’interno, poggiata con la cura che un entomologo avrebbe riservato a un insetto raro, c’era la mosca.
Una banale mosca nera.
“Mbè?” disse esclamò ironico, “e ora che se ne fa? La fotografa da tutte le angolazioni e ne fa una mostra?”.

Non finì di parlare che, quasi non aspettasse che di poterlo fare, la mosca riprese a muoversi e in un attimo stava volando per la stanza.
“Ma non era morta?”, chiese stupito.

Il brigadiere osservava la mosca stranito.
La guardava incredulo virare sul muro, planare verso l’armadio, levarsi in volo verso il soffitto.
La rincorreva con gli occhi e un paio di volte alzò le braccia per tentare di prenderla.

Sempre più deciso, tese la mano e la richiuse di scatto quando in un paio di occasion la mosca si posò provocatoria nuovamente sul kleenex.

Tentò più volte di accostarsi di soppiatto al muro quando questa vi si andava a posare per un attimo, volandosene poi sempre via una frazione di secondo prima di venir catturata dalla mano rapace del brigadiere.
Proprio mentre stava attuando la strategia del predatore, immobile, trattenendo il respiro ma pronto a scattare implacabile sulla preda, la mosca cambiò beffarda traiettoria di volo dirigendosi inaspettatamente verso la finestra aperta.

Niente, di tutta la fastidiosa giornata non rimaneva un accidenti di niente.
“Che strano agosto” pensò il Comandante, “nessun morto e nessun cadavere. Un paio di giorni così e rischio di morire io di noia”.

mercoledì 4 aprile 2012

Mosca ( versione breve) - 2

Chiusa in un sacco anonimo, fu trasportata giù per le scale - non senza qualche delicatezza - e adagiata sul fondo del motoscafo che di lì a poco l’avrebbe scaricata sul tavolo di metallo dell’obitorio dell’Ospedale SS. Giovanni e Paolo.

Il rumore del motore si confondeva con quello di altri motori nei canali, con quello dell’acqua contro le rive, con il rumore dei tacchi dei passanti lontani nelle calli adiacenti e con quello delle voci confuse del mercato di Rialto, mentre il motoscafo si infilava sotto gli archi dei ponti dirigendosi veloce al prossimo attracco dell’Ospedale.

Il lieve continuo spostamento, dovuto all’oscillazione della barca sull’acqua, rese difficile agli infermieri notare quel primo sussulto interno alla bara di anonimo metallo. L’aria mancava. Soffocando grattava scompostamente qualcosa che le si poggiava sulla faccia impedendole di prendere un respiro.
Iniziò a scalciare senza trovare spazio in uno spasmo nervoso e quasi inconsapevole di quella ricerca d’aria, con il cervello annebbiato e confuso, incapace dello slancio per quel grido che sentiva sempre più lacerante e intrappolato dentro ai polmoni.

Fu solo quando, fermato il motore, stavano per chinarsi a prendere la cassa per alzarla, che sentirono il primo attutito tonfo provenire dall’interno.
L’istinto fece loro lasciar cadere di botto la cassa, con un sordo rumore di metallo sul fondo di legno.
Ancora colpi, quasi un grattare scomposto che proveniva distintamente dall’interno.
La bara era sigillata, come richiedevano le procedure di trasporto delle salme, così che i due infermieri si guardarono negli occhi chiedendosi in silenzio cosa fare mentre brividi di terrore si irradiavano  in loro lungo tutta la schiena.
Il carabiniere che li accompagnava avvicinò l’orecchio al coperchio, quasi a sincerarsi di aver davvero sentito quei rumori provenienti, sempre più convulsi, dall’interno. Decise quasi senza pensare, mosso da un istinto di sopravvivenza per conto terzi, quasi avesse sentito se stesso colpire disperato quel coperchio dall’interno. Presa la pistola d’ordinanza dalla fondina, fece saltare i sigilli con due colpi secchi e precisi.

Il sacco si muoveva impazzito. Aprì la cerniera che lo chiudeva e il volto ormai quasi cianotico che si trovò di fronte lo fece istintivamente indietreggiare per un dolore che gli pareva suo.
Gli occhi della donna sembravano sul punto di schizzare fuori dalle orbite, tesi e arrossati da una ragnatela di fitte venuzze bluastre, immensi e spalancati nello spasimo della ricerca di ossigeno.
Non la toccò, fece segno anche ai due infermieri di lasciarle un momento perché da sola si riprendesse lentamente e trovasse una respirazione più lenta e profonda.

Il rantolo affannoso della gola in cerca d’aria impiegò qualche minuto prima di assestarsi in un respiro rauco ma regolare.
I due infermieri la sollevarono piano dalle spalle, mettendola in una posizione semiseduta, continuando a sostenerla con le mani cui lei si appoggiava frugando con gli occhi il motoscafo, le loro facce, il canale in una muta domanda inespressa e terrorizzata.

Intanto il carabiniere aveva chiamato il comando per informare dell’accaduto. Nel giro di pochi minuti si affollarono intorno alla barca una barella arrivata a piedi dal vicinissimo Ospedale, un medico equipaggiato con la bombola di ossigeno e un paio di infermiere del reparto rianimazione del pronto soccorso.

La donna continuava a tossire e a respirare con forza, muovendo gli arti a scatti e con gli occhi tesi a voler capire, spaventati, muovendosi veloci in ogni direzione, mentre il respiro raspava, soffiava e aspirava con forza nella maschera a recuperare in fretta nei polmoni la giusta dose di quell’ossigeno di cui mai prima aveva capito il ruolo fondamentale.

Nel giro di pochi minuti era assopita e tranquilla in un letto del pronto soccorso.

Uscendo, il carabiniere che aveva sparato ai sigilli della cassa dentro cui stava chiusa poco prima la donna, notò che il custode nella guardiola all’ingresso era assorto nella lettura di un giallo.
Ebbe per un attimo la tentazione di fermarsi a sbirciarne il titolo; poi decise che no, di morti strane per quel giorno ne aveva già avute.

“Strano agosto quest’anno”, penso fra sé.

domenica 19 febbraio 2012

Mosca (versione breve) - 1

Se ne stava accoccolata sul divano immersa nella rilettura di un classico di Agatha Christie, Il Ritratto di Elsa Greer.

Il pomeriggio silenzioso di quel 9 agosto 2009 fu interrotto dalla suoneria bassa del telefono. Allungò pigramente la mano verso il cordless appoggiato sul tavolino a fianco e premette il pulsante on continuando a leggere.
Appoggiata la cornetta all’orecchio, mormorò un “Pronto” distratto.
La voce maschile sembrò trattenersi un momento prima di dire:“ Pronto, parlo con la signora Maloni?”.

Era al passaggio in cui nel libro si scopre che la giovane Adrienne - poco prima che il marito della sorellastra, Mr. Amyas, bevesse la sua ultima amara birra ghiacciata - era stata vista dalla signora Crale trafficare appunto con una bottiglia di birra nella ghiacciaia.

Non aveva fatto alcuna attenzione al telefono fino a quel momento, ma quel nome strano, strano per lei, in quella casa dove non esisteva alcuna signora Maloni, le fece staccare gli occhi dal giallo per chiedere: "Prego? Chi sta cercando?".

La voce al telefono era calda e sensuale: “ La signora Maloni?”.

Seccata, rispose automaticamente: "Non c’è nessuna signora Maloni, ha sbagliato numero".

Un piccolo moto di disappunto la costrinse a riprendere la lettura solo dopo essersi risistemata comoda sul divano.
Non c’erano molte altre cose che apprezzasse di più, nei pomeriggi di calura estiva.
Aspettava che il marito, dopo aver fatto il solito pisolino di mezz’ora, tornasse in ufficio; e che i bambini, prelevati dalla bambinaia quasi negli stessi minuti, partissero per tornare in piscina.
Una volta usciti tutti, tornava a godersi quel privilegio di sentirsi padrona delle proprie ore, del proprio tempo.

Detestava la piscina, le grida e gli schiamazzi dei bambini sul bordo vasca, le continue richieste di qualcosa, gli spruzzi d’acqua inevitabili, le chiacchiere con altre mamme che tendevano ad orientarsi inesorabilmente su figli e mariti.
Preferiva il silenzio, quel pigro srotolarsi delle ore con solo il ronzio sommesso dell’aria condizionata, per lei il miglior sottofondo estivo per la rilettura di un vecchio classico del giallo.

Mentre continuava a leggere, le capitava a volte che la mente facesse deviazioni e si ritrovava, come ora, a non aver capito una parola di ciò che le pareva di aver letto.

Tornata al libro, scopriva che tutte le apparenze puntavano il dito in una sola direzione, la signora Crale; mentre a lei sembrava di ricordare che l’assassino fosse in realtà Adrienne, la sorella della signora Crale.

Il telefono suonò nuovamente.

Allungò la mano e sussurrò un altro pigro: “Pronto” all’apparecchio.
La stessa voce di poco prima la colpì nuovamente per quella nota sensuale che non avrebbe saputo definire: "La signora Maloni?".

Quella voce le suggeriva qualcosa, le arrivava dritta allo stomaco senza sapersene spiegare la ragione.
“No, ha nuovamente sbagliato numero”.

Dall’altra parte, la voce maschile sembrava insinuare un sorriso:” Mi scusi, ho fatto lo 04152….?”.
Era il suo numero, come poteva essere?
“Sì, il numero è questo, ma non c’è nessuna signora Maloni, forse lei ha il numero sbagliato”.
La voce sembrava voler continuare la conversazione, non avrebbe saputo spiegarsene il perché ma la sensazione era precisa come una fotografia.
”Mi scusi ancora” concluse invece, quasi con un velato rammarico.

Posato il telefono, rimase per qualche minuto con il libro abbandonato sulle gambe e lo sguardo perso nel vuoto: chissà perché continuava ad avere la sensazione che quella voce avrebbe dovuto dirle qualcosa, che forse avrebbe dovuto ricordarle qualcosa.
Niente di preciso, solo una sensazione per la quale non riusciva però a trovare una spiegazione coerente ed era, quindi, una sensazione stranamente suggestiva.
Forse qualcuno che conosceva?
Qualcuno che magari aveva incontrato molto tempo fa e di cui ricordava la vibrazione della voce ma nessun nome e nessuna faccia a cui abbinarla?

Una mosca aveva preso a girarle intorno, fastidiosa.

Provò a colpirla decisa con il libro aperto alla pagina appena interrotta ma colpì solo l’aria, mentre la mosca si spostava senza allontanarsi di molto dal divano.

Alzò appena la testa dal cuscino e riprovò a colpirla quando il telefono riprese a suonare.

Fece per sollevarsi a sedere quando la mosca si appoggiò fastidiosa sulla gamba lasciata scoperta dal tubino di cotone leggero con cui amava stare in casa.

Alzò insieme il libro per colpire la mosca e una mano a cercare il telefono.

Sollevata la cornetta e appoggiatala all’orecchio, mentre ancora una volta la sensuale voce maschile chiedeva della seccante signora Maloni, abbassò il braccio di scatto verso la mosca e si accasciò sul divano, colpita da un sibilo che arrivò contemporaneamente dalla cornetta e da qualche punto imprecisato dietro di lei.

La trovò la bambinaia, rientrando dalla piscina.

La cornetta del telefono in una mano e il Ritratto di Elsa Greer nell’altra, scivolata inerte verso il tappeto.

All’arrivo dei carabinieri, uno degli agenti che fotografava il salotto e la posizione della donna, vide una piccola macchia nera sul tappeto chiaro, proprio accanto al libro che la signora teneva ancora stretto nella mano.

Avvicinò l'obiettivo e zoomò sulla macchia: sembrava una piccola mosca.

Morta.

L’agente scattò incuriosito un paio di foto e chiamò il collega che stava raccogliendo campioni di ogni cosa che potesse essere ritenuta prova di una presenza sospetta al momento della morte.

Il collega non ritenne la mosca di alcuna utilità e sembrò anzi infastidito dall’attenzione con la quale l’agente lo distraeva.

Appena l’altro girò i tacchi, prese delicatamente la mosca con una pinzetta, la mise fra le pieghe di un kleenex e, con grande attenzione, la infilò nella custodia della macchina fotografica.  

venerdì 2 dicembre 2011

Sabato&Fragole

Laura&Lory, tempo fa, ebbero l’idea di una specie di concorso fra racconti anonimi, aperto a tutti (quindi anche a me, che un racconto non l'avevo mai scritto).
Appena letto quellincipit, obbligatorio, forse per reazione alle fragole, ho buttato giù la porcata molto splatter, che incollo sotto, in quindici minuti netti

SABATO E FRAGOLE


Degli altri quattro sensi non c'era traccia. Tutto ciò che riusciva a sentire era uno stucchevole sapore di glassa alla fragola.


Era stordito dal caldo e frastornato dallo choc, quando si era fermato al primo tavolino libero nella calle assolata.


Al cameriere aveva chiesto un dolce a caso e, senza seguire l’elenco che questi si era messo a snocciolare, aveva detto: "Va bene questo".
Il sudore gli colava sulla faccia e aveva un bisogno urgente di zuccheri.
Aveva preso solo un morso del dolce con la forchetta, con lo sguardo perso a rivivere, sequenza dopo sequenza, ciò che era successo.


Avevano riso, durante il viaggio, ascoltando a tutto volume il Cd dei Clash, e lo avevano cantato a squarciagola, accompagnando ogni passaggio di Should I stay or should I go con un ritmico movimento delle spalle a mimare la batteria di Topper Headon, come due ragazzini.


Arrivati a Piazzale Roma, l’effetto Clash era sfumato nel giro di pochi minuti, quelli necessari a capire che dalla Mercedes cabrio, rubata poche ore prima, era difficile liberarsi: vigili e carri attrezzi impedivano il parcheggio su tutta l’area. 

Dopo un paio di giri intorno per trovare una soluzione, entrarono nel parcheggio in fondo al piazzale: si pagava sempre all’uscita, mai all’entrata, no?


Al primo ponte, lei aveva chiesto dove sarebbero potuti andare a cena, in quella città di cui non sapevano nulla.

Lui aveva citato a memoria un paio di nomi, letti in un settimanale mentre aspettava il suo turno dal barbiere quella mattina.
Era da quella lettura, che avevano iniziato a sognare Venezia e come sarebbe stato bello poterci andare.


Arrivati a San Marco, si sentivano entrambi sfiniti, sudati, con i piedi gonfi per quel su e giù dai ponti cui non erano abituati.

La Venezia romantica che li aveva suggestionati fino a far sembrare semplice il rubare un’auto per andarci subito, si stava rivelando così difficile da metter loro tristezza.
Se fin lì c’era stata l’ebbrezza dell’immaginazione a rendere facile realizzare il sogno, ora che nel sogno c'erano, tutto sembrava tragicamente reale.
La fatica di quei primi ponti aveva riportato le cose ad una dolorosa constatazione: con i pochi soldi in tasca, a malapena sarebbero riusciti a mangiare una pizza al taglio e a bere un’acqua minerale.
Il resto, fra tutti e due, sarebbe loro servito per un biglietto di ritorno alle loro vite da precari di periferia, senza un futuro cui poter guardare davanti, né una storia a sorreggerli dietro.


Si erano seduti sul muretto che costeggia la laguna, di fronte ai giardinetti di San Marco.
La luce viola del tramonto, dava alla cupola di San Giorgio dei riflessi da fiaba che li aveva immersi in uno stato d’animo malinconico.


“Noi non siamo per questa bellezza”, aveva detto lei, con tono rassegnato e lucido.

I riflessi viola che le facevano brillare gli occhi dolci e tristi, l’avevano fatto tremare d’emozione.
In auto, poco prima, mentre cantavano felici facendo gli stupidi con i Clash, aveva pensato di dirle, arrivati a Venezia, che lui l'amava, che era per lui molto più di un'amica.
Ora la tristezza gli faceva sembrare tutto più difficile:  forse nemmeno lì, nella città degli innamorati, avrebbe trovato il coraggio di dirle che l'amava.
Poi, all'improvviso, come seguendo un suo pensiero, lei si era messa a correre verso la Piazzetta.

Lui l’aveva seguita, chiamandola, senza capire perché o dove stesse correndo.
Si era fermata sul bordo di pietra, vicina all’acqua dov’erano attraccate alcune gondole; si era tolta i sandali e il leggero abito estivo, ridendo della sua stessa improvvisa follia.


Poi si era tuffata, proprio mentre il moto ondoso, facendo oscillare le gondole, ne aveva spostata una che le era andata a sbattere contro.

Il colpo sordo della testa sul legno nero della gondola, l’aveva trapassato come un pugnale improvviso dentro la carne.

Avrebbe voluto tuffarsi, gridare, provare a salvarla.

Invece era rimasto lì, immobile, paralizzato dall’assurdità di quella scena.

Era accorsa gente, dei gondolieri l’avevano tirata su e stesa sui lastroni di pietra.

Non era più niente.

Quel corpo senza vita che veniva trasportato, toccato, sballottato e caricato come un sacco nell’ambulanza arrivata dall’acqua, non era nessuno, non era lei.

Che avrebbe potuto fare?
Come avrebbe potuto spiegare chi erano, cosa facevano a Venezia, come c’erano arrivati?

Quando la gente che si era assiepata intorno iniziò a disperdersi, iniziò anche lui a camminare.

Senza sapere dove, o cosa.
Si sentiva solo, confuso, stanco, sfinito, con un dolore sordo e anestetizzante dentro.
Aveva bisogno di sedersi da qualche parte a pensare.


A quel tavolino, la sua mente aveva continuato a vagare fra le immagini che scorrevano dietro ai suoi occhi.

Poi quel morso l’aveva riportato bruscamente alla realtà, una realtà dal tremendo sapore di fragola, cui era allergico.


Un conato di vomito improvviso lo costrinse ad alzarsi e a chiedere al cameriere dove fosse la toilette.

Lì, nel puzzo stagnante di un bagno sudicio, si accasciò seduto nel suo stesso vomito e svenne, cercando l'aria.

Non vedendolo uscire, il cameriere tentò di aprire la porta, dopo aver inutilmente bussato e chiamato.

Quando, forzandola, riuscì a socchiuderla, lo vide riverso sul pavimento, il volto imbrattato di vomito e le gambe disarticolate a ostruire la porta.


All’obitorio, i loro corpi ora giacevano freddi e silenziosi, su due lastroni di metallo paralleli e vicini, mentre l’infermiere di turno distrattamente pescava fragole rosse sangue da un sacchetto di carta.

Ctc Center

Lo sappiamo: siete arrivati al pensiero fisso che la vostra vita non vale più niente.
Sono mesi che vi dibattete fra debiti che non riuscirete mai a pagare, il lavoro che non arriva più, la depressione galoppante e la preoccupazione per il futuro dei vostri figli. 


Pensate al suicidio, sappiamo anche questo.


Capita a tutti di pensarci trovandosi nella vostra stessa situazione.


E pensarci è umano.


Avevate già considerato che, fra i molti modi di suicidarsi c’è anche il lancio dal cavalcavia dell’autostrada.
Vi ci siete pure immaginati, lanciati a tutta velocità, a dover contare solo in quel mezzo secondo di concentrazione che vi serve per non frenare e poi è fatta: leggera sterzata, anche chiudendo gli occhi per non farvi paura da soli, e l’impatto con il guard rail non riuscirebbe a frenare il vostro volo garantito verso la fine.


Il vostro nulla, il vuoto, la cancellazione definitiva della vostra storia umana, letteraria, sociale e metafisica. Siete al capolinea ed è inutile ogni altra elucubrazione sul senso o sui perché ci siate arrivati: ci siete, e tanto basta.


Ma, prima che compiate il tragico inutile gesto, leggete fino in fondo il nostro messaggio.


Per noi, la vostra vita ha un valore.


Contattateci.


Due ore dopo il nostro incontro avrete la certezza che nulla è più affare vostro e tutto è affare nostro, scritto nero su bianco insieme al nostro staff tecnico-giuridico.


Il CTC pensa a voi.


E pensa a tutto.


Chiamateci e affidateci quel che resta delle vostre speranze: vi daremo in cambio tutto ciò di cui avete bisogno.


Non avrete, lo sapete già, nè un euro né un solo mattone dove rifugiarvi, se non dal CTC.


In cambio di un paio di firme, il CTC provvederà a pagare i vostri debiti, darà una casa e un lavoro a vostra moglie e manderà ogni Natale ai vostri figli l’ultimo modello di playstation.


Risolte con una liberatoria davanti al notaio di nostra fiducia e a nostre spese le questioni burocratiche, potrete scegliere voi una data entro i termini concordati con il CTC.
Vi assisteremo in tutto: vi forniremo un’auto che nemmeno nei vostri sogni più azzardati.
Vi vestiremo con una tuta anti tutto e un casco che neanche Massa.
Predisporremo una realizzazione A/V sui momenti più eccitanti della vostra vita così da consegnarvi a un’immortalità che neanche Dante.


Sarete citati, in una riga anonima ma tutta per voi, su tutti i tabulati di ogni industria del nostro settore.


Insomma, daremo alla vostra esistenza quel senso che voi non siete riusciti a darle in anni di lavoro e sacrifici inutili.


Affidatevi a chi ne sa più di voi su quel che state pensando di fare.


Il giorno che voi avrete deciso, una volta partiti e dopo avervi concessi parecchi chilometri a velocità Maranello in autostrada, dovrete solo arrivare alla velocità concordata in prossimità del vostro punto di svolta.


Una voce in cuffia vi condurrà con estrema precisione verso il momento di gloria che sognate da un pezzo e al quale non arrivereste mai, senza di noi.


Ci sarà, mettetelo in conto e non fatevi illusioni, l’ultimo dubbio.
Saranno stati così eccitanti quei momenti che precederanno l’ultimo, da farvi sentire nella vostra testa un’entusiasmante seduzione:


” Troppo bello! Troppo figo! Potrei farlo per tutta la vita questo lavoro”.


Quante volte avete sognato, sprofondati con una birra in mano davanti al televisore la domenica pomeriggio, di poter essere voi al volante.
Di poter, anche solo per un paio d’ore, guidare uno di quei bolidi per sentirvi, a modo vostro, il Schumacher che a fine corsa sale sul podio con la magnum di champagne.


Quante volte, guardando una gara, vi siete immedesimati e confusi con il rombo dei giri motore che la vostra tv faceva vibrare dentro la vostra testa?


Ecco, noi oggi possiamo realizzare quel sogno per un paio d’ore della vostra vita.


Chi potrebbe fare per voi altrettanto?


Ma non illudetevi ascoltando quella voce nella vostra testa mentre sarete al volante quel giorno.
Non funzionerebbe e lo sapete: avrete firmato e dovrete andare fino in fondo.
Davanti a voi ci sarà una sola opzione, quella concordata: sterzare esattamente nel secondo in cui vi verrà detto di farlo.
Fatelo, sterzate per il vostro bene e quello dei vostri cari.
Non appena l’avrete fatto, nel giro di un paio d’ore vi si fornirà una comoda cassa metallica, senza imbottitura ma confortevole, un trasporto gratuito verso l’obitorio, una settimana di pubblicità garantita sulla vostra sfiga in ogni quotidiano nazionale, e ondate di emozionato affetto da parte di milioni di persone prodighe di comprensione e dispiacere postumi.
Non fermatevi a sognare l’impossibile, sterzate: questa bellissima visione dell’anima umana vi è riservata solo postuma.
Se, in una visione immaginaria aveste individuato chi vi potrebbe manifestare l’intenzione o la possibilità di un aiuto, non fateci caso: queste visioni profetiche sono prive di connessione con la pragmatica dura realtà umana.


Un passo indietro, una frenata, e tornereste al punto in cui vi trovate oggi con un motivo in più per lanciarvi da quel cavalcavia di qui a un mese.


Non credete alle favole da un pezzo e la vostra vita di oggi è tutta lì a dimostrare che avete ragione a disperare in fortuiti aiuti: non ce ne sarebbero come non ce ne sono stati fin qui.
In più, non avreste la certezza che il CTC vi tornerebbe a offrire una seconda chance.


Gli umani riservano agli altri i propri slanci di generosità e comprensione solo dalla distanza di sicurezza di un post mortem, l’avete constatato da solo molte volte.


Per questo siete arrivati al punto in cui vi trovate.


Dopo, invece, se terrete fede agli impegni sottoscritti, avrete una lunga fila di volontari pronti a cambiarvi il pannolone incontinente mentre riposerete immobili in un letto confortevole, bianco e sterile.


O, nell’unica altra opzione, vi si riserveranno autentiche lacrime di umana solidarietà durante il rito funebre mentre il prete, che oggi nemmeno vi conosce, dirà di voi meraviglie.
L’unico rischio, in questo secondo caso, è che vi canonizzino eroe con un applauso alla bara all’uscita dalle esequie.
O che vi dedichino quel giorno un lutto cittadino.


Ma non vi riguarda più, è tutto passato.


Il vostro futuro è nel nulla di cui, quei lucciconi negli occhi commossi degli ossequianti, non sapranno niente fino al giorno in cui saranno loro stessi ad uscire dal sagrato.


Senza applausi.


Il CTC ha messo un’unica seccante clausola: dovrete risultare come un caso di disattenzione alla guida in seguito a ingestione eccessiva di alcool.


O, in alternativa, concessa generosamente a ogni tester, provvedere a un biglietto autografo, che sarà da noi inviato per posta solo in caso di test perfettamente riuscito e su cui avrete scritto, con scrittura sbilenca e malferma ma leggibile:


” Addio cara, ti ho amato tanto. Dai un bacio ai nostri figli e dì loro di non preoccuparsi per me. Tutto si sistemerà con la mia morte, ne sono certo. Infondo, ero ormai solo un peso a me stesso e a voi. Siate felici e godetevi la playstation”.


Solo un giornalista rompi cazzi, leggendo quell’amorevole drammatico ultimo messaggio, noterà lo strano accenno a future playstation, privo di senso logico.


Indagherà, farà ricerche, tenterà di dimostrare che non si trattava di suicidio ma del dannato Crash Test Center
Ma è tutto sotto controllo, ci penseremo noi.


Alla fine lo considereranno per quel rompi cazzi che è e la sua inchiesta finirà a far polvere sullo scaffale dei dubbi irrisolti.
Come voi.
Quello che conta, e ve lo garantiamo, è che non arriverà mai a dimostrare che quella profetica playstation, il prossimo Natale, non sarà che una fortuita coincidenza, il gesto sentimentale di uno sconosciuto commosso e ispirato proprio da quelle vostre ultime parole.