sabato 28 aprile 2012

Mosca (versione breve) - 3

Era rientrato in ufficio da pochi minuti quando vide passare nel corridoio il brigadiere che aveva scattate le foto a casa della donna.

Lo chiamò, e gli chiese se avesse notato qualcosa di particolare.
“No, direi niente di particolare. Niente sangue, nessun segno di colluttazione, un ordine quasi perfetto e nessun segno di effrazione. A parte il giallo nelle mani della donna – del quale non ricordo mai l’assassino - niente fa pensare a una morte sospetta”.

"A parte il fatto che la morta sia tornata in vita", aggiunse abbassando la voce e guardandosi la punta delle scarpe.

L’accenno al giallo fece scattare nel Comandante una strana associazione: era davvero singolare che una persona morisse di morte apparente, e senza una causa evidente, proprio mentre leggeva un giallo tranquillamente sdraiata sul divano di casa propria, però certo non capitava tutti i giorni un caso del genere.

Avrebbe comunque atteso notizie più precise dall’ospedale, dove le avevano comunque fatto dei prelievi e qualche indagine radiologica per provare a capirci qualcosa.

Per ora, tutto lasciava pensare che si fosse trattato di un qualche accidente naturale, per quanto inspiegabile.

Certo, il fatto che la donna tenesse ancora in mano il cordless poteva indicare che magari, colta da malore, avesse tentato di chiamare qualcuno.

Si chiese, per una curiosità inutile ma insistente, a quale passaggio del libro la signora si fosse sentita male: chissà se la tensione causata da un passaggio pieno di suspense particolarmente ben riuscito, poteva alterare il ritmo cardiaco fino a provocare un infarto, e quindi la morte, in chi legge.

“Di che giallo si trattava brigadiere?”, chiese.

“ Uno dei classici di Agatha Christie” rispose il brigadiere, “Il ritratto di Elsa Greer. Uno dei più ingarbugliati che abbia mai letto. La Christie, in questo giallo, crea un tale affollamento di personaggi che si aggirano sulla scena del delitto, che a un certo punto non ci si capisce più niente.
Tutti sembrano innocenti e tutti potrebbero essere
colpevoli, come pare ovvio in un giallo. Solo che lei li fa girare in tondo, li muove sulla scena, prima e dopo il delitto, come si trattasse di una serie di comparse che servono a riempire spazi vuoti e a far confusione sul palcoscenico. Entrano, escono, dicono qualcosa senza che mai ciò che dicono ti indirizzi verso un sospetto credibile fino in fondo e rendendo invece tutti ugualmente sospetti. Non contenta, introduce poi sempre nuove figure a scombinare eventuali ipotesi del lettore, creando sempre nuovi possibili moventi di cui fino alla pagina prima non si aveva sospetto. Insomma, un gran bel giallo”, concluse il brigadiere, preso nella foga della rievocazione di un libro che pareva aver apprezzato.

“ E l’assassino? Alla fine chi è stato?” chiese il Comandante con un misto fra la curiosità e lo sfottò per l’improvvisa scoperta di un’altra passione nascosta del collega.

“Eh sì, alla fine si sa chi è stato, questo è ovvio. Solo che ogni volta che mi capita di rileggerlo non riesco mai a ricordarlo fin da subito, anche se dovrei ormai saperlo, chi è l’assassino. E’ questo che mi fa impazzire: uno legge un libro la prima volta, e alla fine sa chi è stato. Fine del giallo. Quando lo rilegge, magari apprezza nuovamente la trama ma non dovrebbe avere sorprese sul finale, le pare? Invece no! Mai una volta che mi riesca di ricordare fin da subito chi è stato a far fuori Amyas Crale. Niente, ogni volta tutti i personaggi ricominciano a ingarbugliarsi fra loro e ogni volta devo arrivare alla fine prima di poter dire: “Ah sì, ecco chi è stato”. Un bel giallo”.

Questi sorrise per la foga ma decise di prendere comunque nota del titolo per leggerlo, appena avesse avuto un po’ di tempo.

Oltre che di gialli, il brigadiere era però un vero fanatico della fotografia: amava i dettagli minuti quasi più di qualsiasi scena spettacolare, per questo si fidava del suo spirito di osservazione.

“Trovato qualche particolare degno di interesse per la sua passione?” gli chiese per stuzzicarlo un po’.

“Forse sì, ma non credo che l’ingrandimento di una mosca diventerà la foto dell’anno”, rispose il brigadiere.

“Una mosca? In quella casa da ricconi pulita e fresca? E dove l’ha vista?”.

“Gliel’avevo fatta notare, non ricorda? Stava sul tappeto, vicina alla mano che teneva il giallo che la signora stava leggendo al momento del decesso”.

Mentre parlava, iniziò a trafficare con la piccola custodia della Nikkon che portava agganciata alla cintura.
Aperta la zip, estrasse con grande cautela, quasi si trattasse di un lembo della Sacra Sindone, un kleenex che vi stava ripiegato dentro.

“Che sta facendo? Non l’avrà mica raccolta per iniziare una collezione di cadaveri di mosche, brigadiere…”.

Questi si chinò verso la scrivania appoggiando il kleenex in un angolo del tavolo stranamente sgombro da scartoffie. 
Il Comandante osservava le manovre del collega come si guarda un bambino che sta per farti vedere l’ultimo stupefacente mini robot giapponese trovato nel sacchetto di patatine.

Il brigadiere, tutto concentrato, aprì lentamente il fazzoletto, seguendo con calma le pieghe della carta.

All’interno, poggiata con la cura che un entomologo avrebbe riservato a un insetto raro, c’era la mosca.
Una banale mosca nera.
“Mbè?” disse esclamò ironico, “e ora che se ne fa? La fotografa da tutte le angolazioni e ne fa una mostra?”.

Non finì di parlare che, quasi non aspettasse che di poterlo fare, la mosca riprese a muoversi e in un attimo stava volando per la stanza.
“Ma non era morta?”, chiese stupito.

Il brigadiere osservava la mosca stranito.
La guardava incredulo virare sul muro, planare verso l’armadio, levarsi in volo verso il soffitto.
La rincorreva con gli occhi e un paio di volte alzò le braccia per tentare di prenderla.

Sempre più deciso, tese la mano e la richiuse di scatto quando in un paio di occasion la mosca si posò provocatoria nuovamente sul kleenex.

Tentò più volte di accostarsi di soppiatto al muro quando questa vi si andava a posare per un attimo, volandosene poi sempre via una frazione di secondo prima di venir catturata dalla mano rapace del brigadiere.
Proprio mentre stava attuando la strategia del predatore, immobile, trattenendo il respiro ma pronto a scattare implacabile sulla preda, la mosca cambiò beffarda traiettoria di volo dirigendosi inaspettatamente verso la finestra aperta.

Niente, di tutta la fastidiosa giornata non rimaneva un accidenti di niente.
“Che strano agosto” pensò il Comandante, “nessun morto e nessun cadavere. Un paio di giorni così e rischio di morire io di noia”.

mercoledì 4 aprile 2012

Mosca ( versione breve) - 2

Chiusa in un sacco anonimo, fu trasportata giù per le scale - non senza qualche delicatezza - e adagiata sul fondo del motoscafo che di lì a poco l’avrebbe scaricata sul tavolo di metallo dell’obitorio dell’Ospedale SS. Giovanni e Paolo.

Il rumore del motore si confondeva con quello di altri motori nei canali, con quello dell’acqua contro le rive, con il rumore dei tacchi dei passanti lontani nelle calli adiacenti e con quello delle voci confuse del mercato di Rialto, mentre il motoscafo si infilava sotto gli archi dei ponti dirigendosi veloce al prossimo attracco dell’Ospedale.

Il lieve continuo spostamento, dovuto all’oscillazione della barca sull’acqua, rese difficile agli infermieri notare quel primo sussulto interno alla bara di anonimo metallo. L’aria mancava. Soffocando grattava scompostamente qualcosa che le si poggiava sulla faccia impedendole di prendere un respiro.
Iniziò a scalciare senza trovare spazio in uno spasmo nervoso e quasi inconsapevole di quella ricerca d’aria, con il cervello annebbiato e confuso, incapace dello slancio per quel grido che sentiva sempre più lacerante e intrappolato dentro ai polmoni.

Fu solo quando, fermato il motore, stavano per chinarsi a prendere la cassa per alzarla, che sentirono il primo attutito tonfo provenire dall’interno.
L’istinto fece loro lasciar cadere di botto la cassa, con un sordo rumore di metallo sul fondo di legno.
Ancora colpi, quasi un grattare scomposto che proveniva distintamente dall’interno.
La bara era sigillata, come richiedevano le procedure di trasporto delle salme, così che i due infermieri si guardarono negli occhi chiedendosi in silenzio cosa fare mentre brividi di terrore si irradiavano  in loro lungo tutta la schiena.
Il carabiniere che li accompagnava avvicinò l’orecchio al coperchio, quasi a sincerarsi di aver davvero sentito quei rumori provenienti, sempre più convulsi, dall’interno. Decise quasi senza pensare, mosso da un istinto di sopravvivenza per conto terzi, quasi avesse sentito se stesso colpire disperato quel coperchio dall’interno. Presa la pistola d’ordinanza dalla fondina, fece saltare i sigilli con due colpi secchi e precisi.

Il sacco si muoveva impazzito. Aprì la cerniera che lo chiudeva e il volto ormai quasi cianotico che si trovò di fronte lo fece istintivamente indietreggiare per un dolore che gli pareva suo.
Gli occhi della donna sembravano sul punto di schizzare fuori dalle orbite, tesi e arrossati da una ragnatela di fitte venuzze bluastre, immensi e spalancati nello spasimo della ricerca di ossigeno.
Non la toccò, fece segno anche ai due infermieri di lasciarle un momento perché da sola si riprendesse lentamente e trovasse una respirazione più lenta e profonda.

Il rantolo affannoso della gola in cerca d’aria impiegò qualche minuto prima di assestarsi in un respiro rauco ma regolare.
I due infermieri la sollevarono piano dalle spalle, mettendola in una posizione semiseduta, continuando a sostenerla con le mani cui lei si appoggiava frugando con gli occhi il motoscafo, le loro facce, il canale in una muta domanda inespressa e terrorizzata.

Intanto il carabiniere aveva chiamato il comando per informare dell’accaduto. Nel giro di pochi minuti si affollarono intorno alla barca una barella arrivata a piedi dal vicinissimo Ospedale, un medico equipaggiato con la bombola di ossigeno e un paio di infermiere del reparto rianimazione del pronto soccorso.

La donna continuava a tossire e a respirare con forza, muovendo gli arti a scatti e con gli occhi tesi a voler capire, spaventati, muovendosi veloci in ogni direzione, mentre il respiro raspava, soffiava e aspirava con forza nella maschera a recuperare in fretta nei polmoni la giusta dose di quell’ossigeno di cui mai prima aveva capito il ruolo fondamentale.

Nel giro di pochi minuti era assopita e tranquilla in un letto del pronto soccorso.

Uscendo, il carabiniere che aveva sparato ai sigilli della cassa dentro cui stava chiusa poco prima la donna, notò che il custode nella guardiola all’ingresso era assorto nella lettura di un giallo.
Ebbe per un attimo la tentazione di fermarsi a sbirciarne il titolo; poi decise che no, di morti strane per quel giorno ne aveva già avute.

“Strano agosto quest’anno”, penso fra sé.

domenica 19 febbraio 2012

Mosca (versione breve) - 1

Se ne stava accoccolata sul divano immersa nella rilettura di un classico di Agatha Christie, Il Ritratto di Elsa Greer.

Il pomeriggio silenzioso di quel 9 agosto 2009 fu interrotto dalla suoneria bassa del telefono. Allungò pigramente la mano verso il cordless appoggiato sul tavolino a fianco e premette il pulsante on continuando a leggere.
Appoggiata la cornetta all’orecchio, mormorò un “Pronto” distratto.
La voce maschile sembrò trattenersi un momento prima di dire:“ Pronto, parlo con la signora Maloni?”.

Era al passaggio in cui nel libro si scopre che la giovane Adrienne - poco prima che il marito della sorellastra, Mr. Amyas, bevesse la sua ultima amara birra ghiacciata - era stata vista dalla signora Crale trafficare appunto con una bottiglia di birra nella ghiacciaia.

Non aveva fatto alcuna attenzione al telefono fino a quel momento, ma quel nome strano, strano per lei, in quella casa dove non esisteva alcuna signora Maloni, le fece staccare gli occhi dal giallo per chiedere: "Prego? Chi sta cercando?".

La voce al telefono era calda e sensuale: “ La signora Maloni?”.

Seccata, rispose automaticamente: "Non c’è nessuna signora Maloni, ha sbagliato numero".

Un piccolo moto di disappunto la costrinse a riprendere la lettura solo dopo essersi risistemata comoda sul divano.
Non c’erano molte altre cose che apprezzasse di più, nei pomeriggi di calura estiva.
Aspettava che il marito, dopo aver fatto il solito pisolino di mezz’ora, tornasse in ufficio; e che i bambini, prelevati dalla bambinaia quasi negli stessi minuti, partissero per tornare in piscina.
Una volta usciti tutti, tornava a godersi quel privilegio di sentirsi padrona delle proprie ore, del proprio tempo.

Detestava la piscina, le grida e gli schiamazzi dei bambini sul bordo vasca, le continue richieste di qualcosa, gli spruzzi d’acqua inevitabili, le chiacchiere con altre mamme che tendevano ad orientarsi inesorabilmente su figli e mariti.
Preferiva il silenzio, quel pigro srotolarsi delle ore con solo il ronzio sommesso dell’aria condizionata, per lei il miglior sottofondo estivo per la rilettura di un vecchio classico del giallo.

Mentre continuava a leggere, le capitava a volte che la mente facesse deviazioni e si ritrovava, come ora, a non aver capito una parola di ciò che le pareva di aver letto.

Tornata al libro, scopriva che tutte le apparenze puntavano il dito in una sola direzione, la signora Crale; mentre a lei sembrava di ricordare che l’assassino fosse in realtà Adrienne, la sorella della signora Crale.

Il telefono suonò nuovamente.

Allungò la mano e sussurrò un altro pigro: “Pronto” all’apparecchio.
La stessa voce di poco prima la colpì nuovamente per quella nota sensuale che non avrebbe saputo definire: "La signora Maloni?".

Quella voce le suggeriva qualcosa, le arrivava dritta allo stomaco senza sapersene spiegare la ragione.
“No, ha nuovamente sbagliato numero”.

Dall’altra parte, la voce maschile sembrava insinuare un sorriso:” Mi scusi, ho fatto lo 04152….?”.
Era il suo numero, come poteva essere?
“Sì, il numero è questo, ma non c’è nessuna signora Maloni, forse lei ha il numero sbagliato”.
La voce sembrava voler continuare la conversazione, non avrebbe saputo spiegarsene il perché ma la sensazione era precisa come una fotografia.
”Mi scusi ancora” concluse invece, quasi con un velato rammarico.

Posato il telefono, rimase per qualche minuto con il libro abbandonato sulle gambe e lo sguardo perso nel vuoto: chissà perché continuava ad avere la sensazione che quella voce avrebbe dovuto dirle qualcosa, che forse avrebbe dovuto ricordarle qualcosa.
Niente di preciso, solo una sensazione per la quale non riusciva però a trovare una spiegazione coerente ed era, quindi, una sensazione stranamente suggestiva.
Forse qualcuno che conosceva?
Qualcuno che magari aveva incontrato molto tempo fa e di cui ricordava la vibrazione della voce ma nessun nome e nessuna faccia a cui abbinarla?

Una mosca aveva preso a girarle intorno, fastidiosa.

Provò a colpirla decisa con il libro aperto alla pagina appena interrotta ma colpì solo l’aria, mentre la mosca si spostava senza allontanarsi di molto dal divano.

Alzò appena la testa dal cuscino e riprovò a colpirla quando il telefono riprese a suonare.

Fece per sollevarsi a sedere quando la mosca si appoggiò fastidiosa sulla gamba lasciata scoperta dal tubino di cotone leggero con cui amava stare in casa.

Alzò insieme il libro per colpire la mosca e una mano a cercare il telefono.

Sollevata la cornetta e appoggiatala all’orecchio, mentre ancora una volta la sensuale voce maschile chiedeva della seccante signora Maloni, abbassò il braccio di scatto verso la mosca e si accasciò sul divano, colpita da un sibilo che arrivò contemporaneamente dalla cornetta e da qualche punto imprecisato dietro di lei.

La trovò la bambinaia, rientrando dalla piscina.

La cornetta del telefono in una mano e il Ritratto di Elsa Greer nell’altra, scivolata inerte verso il tappeto.

All’arrivo dei carabinieri, uno degli agenti che fotografava il salotto e la posizione della donna, vide una piccola macchia nera sul tappeto chiaro, proprio accanto al libro che la signora teneva ancora stretto nella mano.

Avvicinò l'obiettivo e zoomò sulla macchia: sembrava una piccola mosca.

Morta.

L’agente scattò incuriosito un paio di foto e chiamò il collega che stava raccogliendo campioni di ogni cosa che potesse essere ritenuta prova di una presenza sospetta al momento della morte.

Il collega non ritenne la mosca di alcuna utilità e sembrò anzi infastidito dall’attenzione con la quale l’agente lo distraeva.

Appena l’altro girò i tacchi, prese delicatamente la mosca con una pinzetta, la mise fra le pieghe di un kleenex e, con grande attenzione, la infilò nella custodia della macchina fotografica.