mercoledì 4 aprile 2012

Mosca ( versione breve) - 2

Chiusa in un sacco anonimo, fu trasportata giù per le scale - non senza qualche delicatezza - e adagiata sul fondo del motoscafo che di lì a poco l’avrebbe scaricata sul tavolo di metallo dell’obitorio dell’Ospedale SS. Giovanni e Paolo.

Il rumore del motore si confondeva con quello di altri motori nei canali, con quello dell’acqua contro le rive, con il rumore dei tacchi dei passanti lontani nelle calli adiacenti e con quello delle voci confuse del mercato di Rialto, mentre il motoscafo si infilava sotto gli archi dei ponti dirigendosi veloce al prossimo attracco dell’Ospedale.

Il lieve continuo spostamento, dovuto all’oscillazione della barca sull’acqua, rese difficile agli infermieri notare quel primo sussulto interno alla bara di anonimo metallo. L’aria mancava. Soffocando grattava scompostamente qualcosa che le si poggiava sulla faccia impedendole di prendere un respiro.
Iniziò a scalciare senza trovare spazio in uno spasmo nervoso e quasi inconsapevole di quella ricerca d’aria, con il cervello annebbiato e confuso, incapace dello slancio per quel grido che sentiva sempre più lacerante e intrappolato dentro ai polmoni.

Fu solo quando, fermato il motore, stavano per chinarsi a prendere la cassa per alzarla, che sentirono il primo attutito tonfo provenire dall’interno.
L’istinto fece loro lasciar cadere di botto la cassa, con un sordo rumore di metallo sul fondo di legno.
Ancora colpi, quasi un grattare scomposto che proveniva distintamente dall’interno.
La bara era sigillata, come richiedevano le procedure di trasporto delle salme, così che i due infermieri si guardarono negli occhi chiedendosi in silenzio cosa fare mentre brividi di terrore si irradiavano  in loro lungo tutta la schiena.
Il carabiniere che li accompagnava avvicinò l’orecchio al coperchio, quasi a sincerarsi di aver davvero sentito quei rumori provenienti, sempre più convulsi, dall’interno. Decise quasi senza pensare, mosso da un istinto di sopravvivenza per conto terzi, quasi avesse sentito se stesso colpire disperato quel coperchio dall’interno. Presa la pistola d’ordinanza dalla fondina, fece saltare i sigilli con due colpi secchi e precisi.

Il sacco si muoveva impazzito. Aprì la cerniera che lo chiudeva e il volto ormai quasi cianotico che si trovò di fronte lo fece istintivamente indietreggiare per un dolore che gli pareva suo.
Gli occhi della donna sembravano sul punto di schizzare fuori dalle orbite, tesi e arrossati da una ragnatela di fitte venuzze bluastre, immensi e spalancati nello spasimo della ricerca di ossigeno.
Non la toccò, fece segno anche ai due infermieri di lasciarle un momento perché da sola si riprendesse lentamente e trovasse una respirazione più lenta e profonda.

Il rantolo affannoso della gola in cerca d’aria impiegò qualche minuto prima di assestarsi in un respiro rauco ma regolare.
I due infermieri la sollevarono piano dalle spalle, mettendola in una posizione semiseduta, continuando a sostenerla con le mani cui lei si appoggiava frugando con gli occhi il motoscafo, le loro facce, il canale in una muta domanda inespressa e terrorizzata.

Intanto il carabiniere aveva chiamato il comando per informare dell’accaduto. Nel giro di pochi minuti si affollarono intorno alla barca una barella arrivata a piedi dal vicinissimo Ospedale, un medico equipaggiato con la bombola di ossigeno e un paio di infermiere del reparto rianimazione del pronto soccorso.

La donna continuava a tossire e a respirare con forza, muovendo gli arti a scatti e con gli occhi tesi a voler capire, spaventati, muovendosi veloci in ogni direzione, mentre il respiro raspava, soffiava e aspirava con forza nella maschera a recuperare in fretta nei polmoni la giusta dose di quell’ossigeno di cui mai prima aveva capito il ruolo fondamentale.

Nel giro di pochi minuti era assopita e tranquilla in un letto del pronto soccorso.

Uscendo, il carabiniere che aveva sparato ai sigilli della cassa dentro cui stava chiusa poco prima la donna, notò che il custode nella guardiola all’ingresso era assorto nella lettura di un giallo.
Ebbe per un attimo la tentazione di fermarsi a sbirciarne il titolo; poi decise che no, di morti strane per quel giorno ne aveva già avute.

“Strano agosto quest’anno”, penso fra sé.

2 commenti:

  1. Mi è quasi mancato il respiro, ho letto il racconto quasi trattenendolo, per fortuna che si sono accorti che era ancora viva! E' successo che aprendo bare trovassero cadaveri dalle posizioni di disperazione sospetta. Complimenti veramente, il tuo modo di scrivere cattura e coinvolge. Buona settimana

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  2. mammamia, ross!
    la paura che in fondo ciascuno di noi ha...
    ho ancora il fiato sospeso, che racconto!

    cri

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