venerdì 2 dicembre 2011

Sabato&Fragole

Laura&Lory, tempo fa, ebbero l’idea di una specie di concorso fra racconti anonimi, aperto a tutti (quindi anche a me, che un racconto non l'avevo mai scritto).
Appena letto quellincipit, obbligatorio, forse per reazione alle fragole, ho buttato giù la porcata molto splatter, che incollo sotto, in quindici minuti netti

SABATO E FRAGOLE


Degli altri quattro sensi non c'era traccia. Tutto ciò che riusciva a sentire era uno stucchevole sapore di glassa alla fragola.


Era stordito dal caldo e frastornato dallo choc, quando si era fermato al primo tavolino libero nella calle assolata.


Al cameriere aveva chiesto un dolce a caso e, senza seguire l’elenco che questi si era messo a snocciolare, aveva detto: "Va bene questo".
Il sudore gli colava sulla faccia e aveva un bisogno urgente di zuccheri.
Aveva preso solo un morso del dolce con la forchetta, con lo sguardo perso a rivivere, sequenza dopo sequenza, ciò che era successo.


Avevano riso, durante il viaggio, ascoltando a tutto volume il Cd dei Clash, e lo avevano cantato a squarciagola, accompagnando ogni passaggio di Should I stay or should I go con un ritmico movimento delle spalle a mimare la batteria di Topper Headon, come due ragazzini.


Arrivati a Piazzale Roma, l’effetto Clash era sfumato nel giro di pochi minuti, quelli necessari a capire che dalla Mercedes cabrio, rubata poche ore prima, era difficile liberarsi: vigili e carri attrezzi impedivano il parcheggio su tutta l’area. 

Dopo un paio di giri intorno per trovare una soluzione, entrarono nel parcheggio in fondo al piazzale: si pagava sempre all’uscita, mai all’entrata, no?


Al primo ponte, lei aveva chiesto dove sarebbero potuti andare a cena, in quella città di cui non sapevano nulla.

Lui aveva citato a memoria un paio di nomi, letti in un settimanale mentre aspettava il suo turno dal barbiere quella mattina.
Era da quella lettura, che avevano iniziato a sognare Venezia e come sarebbe stato bello poterci andare.


Arrivati a San Marco, si sentivano entrambi sfiniti, sudati, con i piedi gonfi per quel su e giù dai ponti cui non erano abituati.

La Venezia romantica che li aveva suggestionati fino a far sembrare semplice il rubare un’auto per andarci subito, si stava rivelando così difficile da metter loro tristezza.
Se fin lì c’era stata l’ebbrezza dell’immaginazione a rendere facile realizzare il sogno, ora che nel sogno c'erano, tutto sembrava tragicamente reale.
La fatica di quei primi ponti aveva riportato le cose ad una dolorosa constatazione: con i pochi soldi in tasca, a malapena sarebbero riusciti a mangiare una pizza al taglio e a bere un’acqua minerale.
Il resto, fra tutti e due, sarebbe loro servito per un biglietto di ritorno alle loro vite da precari di periferia, senza un futuro cui poter guardare davanti, né una storia a sorreggerli dietro.


Si erano seduti sul muretto che costeggia la laguna, di fronte ai giardinetti di San Marco.
La luce viola del tramonto, dava alla cupola di San Giorgio dei riflessi da fiaba che li aveva immersi in uno stato d’animo malinconico.


“Noi non siamo per questa bellezza”, aveva detto lei, con tono rassegnato e lucido.

I riflessi viola che le facevano brillare gli occhi dolci e tristi, l’avevano fatto tremare d’emozione.
In auto, poco prima, mentre cantavano felici facendo gli stupidi con i Clash, aveva pensato di dirle, arrivati a Venezia, che lui l'amava, che era per lui molto più di un'amica.
Ora la tristezza gli faceva sembrare tutto più difficile:  forse nemmeno lì, nella città degli innamorati, avrebbe trovato il coraggio di dirle che l'amava.
Poi, all'improvviso, come seguendo un suo pensiero, lei si era messa a correre verso la Piazzetta.

Lui l’aveva seguita, chiamandola, senza capire perché o dove stesse correndo.
Si era fermata sul bordo di pietra, vicina all’acqua dov’erano attraccate alcune gondole; si era tolta i sandali e il leggero abito estivo, ridendo della sua stessa improvvisa follia.


Poi si era tuffata, proprio mentre il moto ondoso, facendo oscillare le gondole, ne aveva spostata una che le era andata a sbattere contro.

Il colpo sordo della testa sul legno nero della gondola, l’aveva trapassato come un pugnale improvviso dentro la carne.

Avrebbe voluto tuffarsi, gridare, provare a salvarla.

Invece era rimasto lì, immobile, paralizzato dall’assurdità di quella scena.

Era accorsa gente, dei gondolieri l’avevano tirata su e stesa sui lastroni di pietra.

Non era più niente.

Quel corpo senza vita che veniva trasportato, toccato, sballottato e caricato come un sacco nell’ambulanza arrivata dall’acqua, non era nessuno, non era lei.

Che avrebbe potuto fare?
Come avrebbe potuto spiegare chi erano, cosa facevano a Venezia, come c’erano arrivati?

Quando la gente che si era assiepata intorno iniziò a disperdersi, iniziò anche lui a camminare.

Senza sapere dove, o cosa.
Si sentiva solo, confuso, stanco, sfinito, con un dolore sordo e anestetizzante dentro.
Aveva bisogno di sedersi da qualche parte a pensare.


A quel tavolino, la sua mente aveva continuato a vagare fra le immagini che scorrevano dietro ai suoi occhi.

Poi quel morso l’aveva riportato bruscamente alla realtà, una realtà dal tremendo sapore di fragola, cui era allergico.


Un conato di vomito improvviso lo costrinse ad alzarsi e a chiedere al cameriere dove fosse la toilette.

Lì, nel puzzo stagnante di un bagno sudicio, si accasciò seduto nel suo stesso vomito e svenne, cercando l'aria.

Non vedendolo uscire, il cameriere tentò di aprire la porta, dopo aver inutilmente bussato e chiamato.

Quando, forzandola, riuscì a socchiuderla, lo vide riverso sul pavimento, il volto imbrattato di vomito e le gambe disarticolate a ostruire la porta.


All’obitorio, i loro corpi ora giacevano freddi e silenziosi, su due lastroni di metallo paralleli e vicini, mentre l’infermiere di turno distrattamente pescava fragole rosse sangue da un sacchetto di carta.

5 commenti:

  1. Bello!!!
    Molto spesso la soluzione dei nostri problemi è affidata al caso. Non abbiamo molto tempo per scegliere. Se temporeggiamo, c'è "Qualcosa", o "Qualcuno", che sceglie per noi.
    BRAVA ROSS!
    Continua così! :§§).

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  2. Grazie Cle.
    A breve altro divertissement recuperato e che dovrò inserire in 3 tranche, perché così è nato.
    Poi midici che ne pensi...

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  3. :)... "Ogni promessa è un debito".
    Io ti aspetto sempre, Grande Ross
    ^--^

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    1. Hai pure ragione, Cle...
      E'che qui le ore passano, i giorni passano, (le madri invecchiano) e mi perdo a seguire il turbine degli eventi che non sono eventi, ma il più delle volte, solo annunci di eventi.
      Magari una sera di queste mi ricordo di recuperare altre cose sparse qui e là...
      Buona giornata, (grazie della fiducia preventiva).

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  4. Grazie.
    Posso solo rispondere con una frase che mi sono semore ripetuta: "Tout passe, tout casse , tout lasse"!
    Qui lo sanno dire meglio di me! (e questo lo devi ASCOLTARE PER FORZA, poi ti PROMETTO che resterò in silenzio ad aspettare)
    http://ihateyoujustkidding.com/track/tout-lasse-days-grow-longer

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